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Cari
Vercianesi,
e mi rivolgo sia a quelli già anziani , che lasciarono
questo paese nel dopoguerra, sia ai loro figli, nipoti, pronipoti
che spesso vediamo arrivare in visita da Oltreoceano, turisti
speciali che cercano qui le loro radici e si esprimono in un "italiano vernacoliere", come lo hanno imparato dai loro vecchi.
Sono cambiati i tempi e oggi chi si esprime nella "parlata"
caratteristica di paese?
Io non sono Vercianese,
sono una "piovuta", come si usava indicare, con un grammo di
diffidenza, quelli che per una ragione o per un’altra, vi si
stabilivano.
Per l’appunto io
piovuta sposai un Vercianese d.o.c.
e ci sono rimasta.
Ho assistito anno dopo
anno al continuo cambiamento del paese. Se allora la quasi totalità
delle famiglie era dedita all’agricoltura, oggi i coltivatori
diretti sono, poco più, le dita di una mano.
Vi ricordate?
Ogni
famiglia, la sua casa, la sua terra poca o tanta, la stalla col
fienile, il "callare", lo stallino o porcile, e, questo è
importante, la sua "buca" per il prezioso concime naturale (il
"peruigino") col quale si fertilizzavano le colture. Oggi le
stalle sono vuote e sono ristrutturate come appartamentini.
Vecchi e vecchie
assistono impotenti a questa metamorfosi e, tristi, scuotono la
testa con nostalgia e pessimismo.
Ci sono tante famiglie
nuove, ma ora ognuno vive per conto proprio
e i "vicini" sono come i "lontani" vecchi cognomi: li
ricordate?
Barsotti, Biagi,
Cantieri, Lippi, Mori, Paganucci, Paoli, Paoletti, Pierotti, Ciucci.
Grandi famiglie,
numerose figliolanze: molto religiosi, osservanti fedeli, un po’
campanilisti verso Guamo. Queste sono le vostre radici a Verciano e da Verciano vi saluta una ex-piovuta, ormai Vercianese.
Verciano
5 febbraio 2002
Adele
Meoni
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